Eugenio Scalfari, che ha contribuito a rivoluzionare il giornalismo italiano fondando La Repubblica, quotidiano liberale che sfidava con coraggio i giornali tradizionali, è morto giovedì, ha annunciato il presidente del Senato. Scalfari ha 98 anni.
La presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellatti ha guidato i legislatori a discutere in un minuto di silenzio un disegno di legge per onorare uno dei decani del giornalismo italiano.
Quando nel 1976 La Repubblica, con sede a Roma, fece irruzione in edicole già affollate, attirò l’attenzione dei lettori con titoli incisivi e un formato tabloid. Il Corriere della Sera, il principale quotidiano italiano con sede a Milano, aveva poco in comune con la dura prosa allora in uso.
La sua nuova ricetta ebbe successo e La Repubblica divenne il secondo quotidiano italiano.
Il presidente del Consiglio Mari Draghi giovedì ha elogiato Scalfari per “la chiarezza della sua prosa, la profondità delle sue analisi, il coraggio delle sue idee” e ha affermato che la morte del giornalista “lascia un vuoto incolmabile nella vita pubblica del nostro Paese”.
Gli editoriali di Scalfari sono “lettura di base per chiunque voglia capire politica, economia”, ha detto Draghi in una nota.
Scalfari ha usato le pagine di La Repubblica per combattere diverse guerre, ed è stato il primo grande giornale italiano a sollecitare gli italiani a rivalutare il Partito Comunista d’Italia, che le successive coalizioni guidate dal Partito Democratico Cristiano avevano abilmente tenuto fuori dal potere. Partner di alleanza molto piccoli.
Dopo che il magnate della televisione è entrato in politica a metà degli anni ’90, ha usato le sue colonne settimanali per fare una campagna senza sosta contro Silvio Berlusconi, guidando infine una coalizione di centro-destra che avrebbe formato tre governi. La Repubblica ha attaccato più volte Berlusconi, accusando l’allora presidente del Consiglio di essersi buttato in politica per tutelare i suoi interessi economici.
Insieme al suo impero mediatico, Berlusconi possedeva anche vaste proprietà immobiliari, agenzie pubblicitarie e una squadra di calcio. Accuse di conflitto di interessi lo hanno perseguitato per tutta la sua carriera politica.
Uno dei primi omaggi dopo la notizia della morte di Scalfari è arrivato da Berlusconi, che ancora guida il partito di centrodestra Forza Italia da lui fondato tre decenni fa.
“Eugenio Scalfari era una figura di riferimento per i miei nemici in politica”, ha twittato. “Tuttavia, oggi non posso fare a meno di riconoscere che è stato un grande editore e giornalista, e lo ammirerò sempre per la sua dedizione e passione per il suo lavoro”.
Discutendo per una nuova lettura del Partito Comunista d’Italia, che un tempo era il più grande d’Occidente, Scalfari sostenne che aveva rotto con le sue radici sovietiche. Molti ex comunisti si unirono a nuovi partiti di sinistra che alla fine divennero partner di coalizione in molti governi italiani.
L’appello di La Repubblica tra i lettori di sinistra è diventato così ampio da essere ampiamente eroso tra i lettori dell’allora diffuso giornale comunista e post-comunista El Unita.
In una carriera durata più di 50 anni, Scalfari è stato chiamato di tutto, dal “leader maximo della stampa italiana” a un opportunista ideologico, riferendosi al soprannome del defunto leader cubano Fidel Castro.
È una testimonianza della sua duratura influenza che anche dopo il suo ritiro dalla carica di direttore de La Repubblica nel 1996, le sue rubriche settimanali hanno continuato a scompigliare le piume.
La carriera di Scalfari è stata segnata da cospicui successi. Oltre a La Repubblica, è co-fondatore del settimanale di successo L’Espresso.
Nel corso degli anni ha partecipato alla vita politica italiana, prima con il Partito Radicale Italiano, come membro fondatore, ricoprendone la carica di Vice-Segretario Nazionale dal 1958 al 1963, e poi con il Partito Socialista Italiano. Scalfari ha servito anche un mandato in Parlamento a partire dal 1968.
Sotto la sua direzione, sia L’Espresso che La Repubblica adottarono rigorosi approcci investigativi, smascherando alcuni dei tanti scandali che segnarono un periodo particolarmente tumultuoso della storia italiana del dopoguerra.
In particolare, nel 1967, L’Espresso ha coperto il tentativo di colpo di stato del 1964 da parte di un generale italiano.
Nato a Civitavecchia, una città portuale vicino a Roma, il 6 aprile 1924, Scalfari ha studiato giurisprudenza prima di tornare al giornalismo. Inizia a scrivere nel 1950 per Il Mondo e L’Europeo, due importanti riviste, partendo nel 1955 per cimentarsi con L’Espresso.
Dal 1963 al 1968 è stato caporedattore della popolare testata giornalistica, poi amministratore delegato della casa editrice L’Espresso dal 1970 al 1975, contribuendo a farla diventare uno dei gruppi editoriali più influenti d’Italia.
Scalfari sposò Simonetta di Benedetti e la coppia ebbe due figlie, Enrica e Donata.
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L’ex dipendente di AP Victor L. Simpson ha fornito materiale biografico per questa storia.
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