È senza dubbio una buona notizia che l'Istat abbia rivisto al rialzo i dati del Pil italiano 2021-2023, con un incremento di oltre 96 miliardi di euro. Ciò fornisce un gradito miglioramento del rapporto deficit/PIL e, più chiaramente, del rapporto debito/PIL. Nel culmine della pandemia nel 2020, quest’ultima è salita a oltre il 154%, ma con dati aggiornati è scesa al 134% nel 2023. È cambiato radicalmente qualcosa nell’economia del Paese? Non reale. Ecco alcuni punti chiave.
1) Stagnazione a lungo termine dell’economia italiana: nonostante la revisione, il PIL del 2023 supera solo leggermente i livelli del 2008. Valore aggiunto, salari e profitti sono stagnanti da 16 anni, mentre tutto il resto è andato avanti. Ad esempio, il debito pubblico era di 1.783 miliardi nel 2008, raggiungendo i 2.873 miliardi al 31 dicembre 2023, con un incremento di 1.100 miliardi.
2) La flessibilità finanziaria molto limitata a disposizione di qualsiasi governo per intraprendere iniziative significative per migliorare lo sviluppo del paese. Con quasi mille miliardi di euro di spesa pubblica, il tanto discusso “gambitto” annuale vale solo pochi miliardi di dollari, rendendo impossibile invertire il declino.
3) La spesa pubblica sembra resistere ai tagli e, cosa più preoccupante, eludere il controllo qualitativo. I pochi miliardi a disposizione ogni anno (di fatto nuovo debito) vengono solitamente allocati allo stesso modo: nessuno spiega le ragioni delle scelte né gli obiettivi concreti e misurabili per cui i soldi vengono stanziati. Di conseguenza, qualsiasi valutazione o responsabilità reale diventa impossibile, portando a 16 anni di stagnazione.
4) Il debito pubblico incombe su tutto. La sua situazione è disastrosa sia per quanto riguarda il totale accumulato (che si avvicina alla soglia psicologica dei 3mila miliardi di euro) sia per la sua continua crescita dovuta alla stagnazione, anche senza nuovi deficit (che tuttavia continuano ad accumularsi). Ad esempio, considerati gli effetti dei superpremi, si prevede che il debito ritorni al 138% del PIL nei prossimi anni, annullando di fatto l’impatto positivo della recente revisione dei dati economici.
traduzione
Di Carlo Giri
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